giovedì 25 febbraio 2010

154 - INDAGINI A PRANZO

Le nuvole cariche di vapori sulfurei viaggiano veloci nel cielo, rincorse dalle loro ombre, che ne riflettono la trama sul terreno e sulle imponenti mura del cimitero.
Già, imponenti. Perché il cimitero, più che un camposanto, pare un bastione inespugnabile.
Ricavato in una fortezza ormai in disuso, probabile primo nucleo attorno al quale sorgeva una giovane Puerto del Principe, il cimitero con i suoi cinque torrioni disposti a pentagono sovrasta le teste di Gimble, Juan e Hearst.
Come concordato con i compagni in taverna, cominceranno a dare un'occhiata lì intorno. Della parte diplomatica con il Sindaco Juanito, si occuperanno gli altri, anche perché non tutti loro erano stati preceduti dalla lettera del messaggero di Salamanca. Meglio ottimizzare la giornata dividendosi i compiti.
Da quanto appreso la mattina stessa da Ignacio, tuttavia, l'accesso al cimitero è interdetto alla popolazione per timore di ulteriori contagi.
"Non c'è bisogno di un editto del Sindaco per impedire l'accesso al camposanto! Questo posto potrebbe resistere a un assedio!" commenta sarcastico Juan.
I tre si avvicinano all'entrata, un grosso cancello a saracinesca in ferro brunito che guarda verso il mare dal bastione settentrionale. Un uomo avvolto in un manto nero siede su uno sgabello, riparato all'ombra delle mura. Quando li nota si alza, e con le mani poggiate sul ventre, avvolte nelle maniche della sua tunica, va loro incontro.
"Dev'essere un monatto. Ci parlo io" esordisce Hearst.
"Lascia perdere, mago dell'oratoria" dice Gimble, ridacchiando. "Non avertene, ma quando si tratta di parlare, lascia fare a me... del resto, io non m'intrometto quando c'è da menare le mani..."
L'incedere del monatto è preceduto dal tintinnare di un campanellino. Uno strano brivido percorre lo gnomo quando si trova faccia a faccia con l'uomo, dal viso tirato e gli occhi stanchi. L'odore dolciastro della morte l'accompagna. Suggestione, pensa.
"Mi dispiace fermarvi, signori, ma l'accesso al camposanto è vietato per editto del Sindaco e del Consiglio cittadino" dice l'uomo in nero, con voce gentile.
"Buon uomo, abbiamo saputo della recente malattia di un nostro affezionato amico e parente, e siamo venuti da lontano, ma non in tempo per dargli un ultimo saluto, ahimè!" dice Gimble, facendo ricorso alle sue migliori doti di attore e inventando di sana pianta. "Vi prego, dateci occasione di pregare sulla sua tomba per l'estremo saluto."
"Sono mortificato per la perdita del vostro caro, ma non posso farvi entrare. Dovete capire che la città rischia una quarantena, e i rischi di contagio devono essere contenuti" ribatte il monatto.
Gimble fa qualche ulteriore tentativo per convincere l'uomo, ma vedendolo irremovibile, desiste, per evitare di destare sospetti.
"Lasciamo perdere..." dice rivolgendosi ai compagni quando il custode se ne va. "Piuttosto, c'è una strada che sovrasta la città, verso le miniere. Da lì potremo osservare oltre le mura di questo posto dall'alto..."

"Sniff... sniff..." Hearst fiuta l'aria "ma questo è... arrosto! Roba da uomini, non ne posso più del pesce di merda che si mangia qui!"
In effetti un profumo di carne arrostita raggiunge dopo pochi istanti anche le narici meno sensibili dei compagni; proviene da un edificio poco distante dalla strada, e dato che ormai il sole è alto allo zenit, i tre si convincono immediatamente che una piccola deviazione per "indagare meglio" è dovuta.
Un'insegna fuori dalla porta riporta la scritta "La Brocca d'Acciaio". L'edificio in pietra, basso e incrostato di fuliggine, non si presenta certo bene all'esterno. Tuttavia, quando i nostri eroi entrano, il profumo li convince che una sosta per il pranzo è sicuramente un'ottima idea.
L'ambiente è di poche pretese, ma familiare. I tavoli di legno sono grandi e rozzi, e alle pareti sono appesi cimeli provenienti dal lavoro nelle miniere e nelle fucine: vecchi attrezzi, pinze, minerali strani. La taverna è deserta, nemmeno un avventore. Anche l'oste non si vede, benché dei rumori provenienti dalla porta sulle cucine rivelino la sua presenza e l'attività che lo tiene impegnato.
Juan e Hearst prendono rapidamente posto ad un tavolo, mentre Gimble si preoccupa di attirare l'attenzione dell'oste.
L'uomo, udendosi chiamare, si presenta al banco. Il suo fisico rivela un passato nelle miniere.
"Benvenuti! Io sono Garcia Hernando, il proprietario della locanda..."
"Abbiamo sentito l'odore del tuo arrosto e ho dannatamente fame, oste!" grida Hearst dal tavolo in centro alla sala, tagliando sui convenevoli e sull'educazione. "Portacene una gran quantità!"
Proprio in quell'istante alcuni minatori fanno il loro ingresso, seguiti da altri ed altri ancora, chiara indicazione dell'ora della pausa per il pranzo. Nella sala comincia ad esserci un certo trambusto, gente che saluta l'oste, pacche sulle spalle, richieste di acqua, cibo e spiriti. Hearst osserva un po' spazientito.
I lavoratori cominciano a prendere postro ai tavoli, e uno di essi, grande e grosso, discute animatamente con Hernando, guardando poi torvo nella direzione degli avventurieri.
"Cerca rogna?" bisbiglia Hearst, indispettito.
"Hearst, non farti riconoscere anche qua..." lo riprende Gimble.
L'energumeno si avvicina a grandi passi, seguito da Hernando che tenta invano di fermarlo.
"Questo è il tavolo mio e della mia squadra. Da sempre!" dice con voce possente. Il suo tono basta a sottintendere una non tanto velata richiesta di spostarsi, e un'ancor meno velata intenzione di provvedere a usare le maniere forti in caso di rifiuto.
Hearst lo fissa con aria di sfida: "Dov'è il mio arrosto?"

sabato 20 febbraio 2010

153 - FACCIA A FACCIA

Juan precede la sacerdotessa sulle scale verso le camere del piano superiore. Giunti nella stanza, il giovane fa entrare Isabel, poi richiude la porta alle sue spalle. La chierica non perde tempo e lo affronta senza troppi preamboli.
"Cosa vuoi Juan? Perché hai voluto parlarmi in disparte?" chiede Isabel, con tono deciso.
"Volevo scusarmi..." sussurra Juan, abbassando lo sguardo.
"Se era per scusarti, potevi almeno degnarti di farlo dinanzi a tutti!" l'interrompe Isabel, visibilmente adirata. "Se era tutto qua, allora abbiamo finito!"
La chierica muove alcuni passi rapidi in direzione dell'uscio, con lo sguardo alto e austero di chi sa di avere tutte le ragioni del mondo. Juan la osserva, e riflette. Questa corazza di certezze che si erge attorno... perché lo fa?
"Aspetta Isabel..."
La chierica si ferma, di fronte alla porta.
"Volevo scusarmi, davvero. Sai che non sono uno di molte parole, e non sono nemmeno bravo ad usarle quanto te..." Il tono di Juan è calmo e sincero. "La scorsa notte ho esagerato, non penso davvero ciò che ho detto riguardo alla religione... ma ero stanco, ferito, avevo... paura..."
Isabel si volta. I suoi occhi non si sono ammorbiditi, come Juan aveva sperato per un istante.
"Questo non ti giustifica Juan. Io ti perdono, ma non è con me che ti devi scusare. Il credo e la fede sono ciò che hai offeso. Hai offeso tutto ciò che può salvarti dal Peccato, Juan. Il destino di ogni creatura di questo mondo è segnato dalla Maledizione di Mog! Il destino di ogni creatura di questo mondo alla fine dei suoi giorni è di struggersi per l'eterno nell'amarezza del Grigio Reame! Se solo c'è un'ancora di salvezza in tutto questo, è ciò che hai insultato. I gesti del credo, che tu hai reputato inutili, fanno parte della guida che la Chiesa ci offre per salvarci. Ognuno di questi gesti è un piccolo passo per evitare un fato che riguarda anche *te*!"
Juan continua a fissare gli occhi duri della sacerdotessa.
"D'ora in poi, prima di parlare, pensa due volte a quello che stai per dire, perché potresti insultare te stesso. Spero di essere stata chiara Juan, ad ogni modo, sappi che non ce l'ho con te. Ora andiamo, gli altri ci stanno aspettando."
Isabel si gira e afferra la maniglia dell'uscio. Per un attimo chiude gli occhi, sicura di non essere vista in volto da Juan. Sospira, e apre la porta.

lunedì 15 febbraio 2010

152 - FOMORIO

"Perché mi guardate in quel modo?" chiede Hearst con falsa innocenza.
"Lo sai benissimo!" risponde Isabel "Quel poveretto con il suo pesce ci campa! E solo per il fatto di averti svegliato hai rovinato la sua giornata di lavoro! Era così grave la sua colpa?"
"Ma non ho fatto apposta..." continua Hearst, insistendo su una linea di difesa poco credibile.
Isabel trattiene a stento la rabbia. Nulla la fa imbestialire come questo fingere di non capire da parte di qualcuno.
"Hearst, non fare il furbo" interviene Rune. "Ammettiamo pure che non volevi fargli la doccia. Tuttavia la tua goffaggine gli ha causato un danno, ed è giusto che tu lo rimborsi della perdita della sua merce."
"Mi sembra un'ottima soluzione" puntualizza Gilead, a sostegno del monaco e della sacerdotessa.
"Amici bacchettoni, non posso ripagarlo, se n'è andato..." fa notare Hearst.
"Già, ma non sarà difficile avere informazioni su di lui" dice Gilead, sorridendo come chi sa di compiere una mossa vincente "Basta chiedere all'oste..."

"Fo-Fo-Fo-Fo-Fomorio. Il s-s-s-suo nome, o m-m-meglio, il s-s-s-suo soprann-n-n-nome, è Fo-Fo-Fo-Fomorio"
Il racconto di Ignacio, l'oste balbuziente, è uno strazio.
"Quest'uomo farebbe perdere la pazienza anche al Santo della Pazienza, se esistesse..." bisbiglia Juan in un orecchio a Gimble, suscitando l'ilarità dello gnomo.
Fomorio. Un soprannome davvero impietoso, che deriva in modo evidente dai giganti detti fomoriani, noti per la loro bruttezza e deformità, e che in questo caso ferisce due volte, perché in netto contrasto con il nanismo che affligge il mercante. E soprattutto un soprannome talmente radicato che nessuno pare ricordarsi come si chiami davvero.
"E' un n-n-n-nanetto incattivito, che ce-ce-ce l'ha col mondo p-p-per la sua c-c-c-condizione" conclude Ignacio.
Isabel riflette sulle ultime parole dell'oste, incapace di non provare un senso di pietà per quel mercante sfortunato. Vorrebbe chiedere di più, ma la lentezza di Ignacio nel pronunciare ogni singola frase la fa desistere. Allorché realizza che anche lei, così facendo, esclude di rapportarsi con l'oste per i suoi difetti...
Improvvisamente, però, Juan le afferra un braccio, distogliendola dai suoi pensieri.
"Isabel, vorrei parlarti..."

lunedì 8 febbraio 2010

151 - IL BUONGIORNO SI VEDE DAL MATTINO

Schiamazzi.
Come se non bastasse la lunga nottata. Anche gli schiamazzi.
La luce del giorno filtra attraverso le imposte della camera, allo Scoglio Cinereo. Ancora intontiti, i nostri eroi vengono riportati alla realtà.
Hearst impreca sonoramente, e si avvia verso la finestra per scoprire il perché di tanto frastuono.
Quando spinge con impeto le ante, la luce lo abbaglia. Mentre la vista si abitua, gli giungono chiare le urla stridule di qualcuno che, sotto la finestra, impreca ancor più sonoramente di lui.
"Sgualdrine! Me la pagherete!"
Hearst si stropiccia gli occhi: la Piazza del Mercato del Porto sembra l'unico sintomo di attività vitale di Puerto. Qui pescivendoli, panettieri, speziali e mercanti vendono alle massaie, ai cittadini, il necessario per i bisogni di tutti i giorni.
Hearst cerca il responsabile di tutto quel fracasso. Sotto la sua finestra, dietro una piccola bancarella di pesce, un ometto deforme, brutto, col nasone e affetto da nanismo, impreca come un indemoniato contro alcune donne che si allontanano scambiandosi risolini d'intesa.
"Ehi! Piantala di urlare! Mi hai svegliato! Qui c'è gente che vuole riposare!" gli rimprovera malamente Hearst, ancora indispettito per il brusco risveglio.
L'ometto si zittisce di colpo, sorpreso per l'inaspettata strigliata, poi si volta e solleva lo sguardo verso la finestra, tremante dalla rabbia e dal nervoso.
"ANCHE TU! ANCHE TU CE L'HAI CON ME OGGI?!?!" urla furente il piccoletto.
Hearst non risponde. Questo se l'è cercata.
Il guerriero rientra in camera e afferra il pitale per la notte. Quindi torna alla finestra, l'appoggia sul davanzale.
Isabel realizza a fatica ciò che sta accadendo: "Che vuoi fare Hearst? Lascia perdere! Non fare idiozie!"
Hearst bisbiglia accondiscendente: "Oh, certo..." mentre un ghigno malefico si dipinge sul suo volto. Voltandosi verso la chierica, finge un movimento maldestro e urta col gomito la padella, che rovescia il suo maleodorante contenuto sul malcapitato pescivendolo e sulla sua bancarella.
"AAAAAAAARRGGGHHHHHH!!!!"
Il mercante deforme perde le staffe, guarda imbestialito verso la finestra lanciando imprecazioni irripetibili, poi prende a calci la sua stessa bancarella e il pesce ormai invendibile, tra l'ilarità generale di chi ha assistito alla scena. Rosso in volto, furioso, umiliato, corre via dalla piazza.
Hearst si ritira nella camera compiaciuto, dove lo attendono gli sguardi corrucciati di Isabel e Rune.

mercoledì 3 febbraio 2010

150 - DIGNITA'

E' ormai notte fonda quando i nostri eroi rientrano a Puerto del Principe. La discesa dal passo verso le miniere che sovrastano la città, e quindi verso le vie cittadine, è accompagnata dai rumori della natura, unica superstite nel silenzio di quella che appare come una città morente; il borbottio baritonale del vulcano è via via sostituito dalla risacca del mare sugli scogli.
I cavalli si fermano di fronte ad un'abitazione nella zona periferica poco distante dal sentiero per le fucine. Una casa semplice, povera, ma dignitosa. Dalle imposte filtra la luce debole di una candela: come ci si poteva aspettare, Inocencia non ha chiuso occhio.
Isabel incrocia lo sguardo di Rune e Gilead. La chierica non ha detto una sola parola durante la strada del ritorno. Le frasi e i comportamenti di Juan devono averla ferita profondamente.
Il monaco e l'elfo annuiscono, e scendono da cavallo. Insieme alla sacerdotessa si avviano verso l'uscio, e bussano.
Solo pochi istanti, ed Inocencia accorre ad aprire. Ma le basta uno sguardo, solo uno sguardo per capire. I suoi occhi di madre si riempiono di lacrime, e nascondendo il volto tra le mani, si lascia andare ad un pianto sommesso.
I tre avventurieri riaccompagnano la donna all'interno. Isabel le sussurra parole di conforto, pur sapendo benissimo di non poter lenire il dolore. Un dolore lancinante, sofferto sottovoce. Isabel guarda ammirata questa donna. In realtà guarda ammirata questa gente. Quella comune, su cui si riversano le tragedie più forti, i dolori più grandi. Quella gente che non ha i mezzi per lottare, e quando ce li ha, spesso fallisce. La loro sofferenza è quella che non si vede, che non si sente, che passa in secondo piano rispetto alle piccole e alle grandi questioni. Anche ora, questa madre piange in silenzio per non svegliare i suoi altri due bambini.
Gilead lascia un sacchetto sul tavolo della piccola sala. Contiene denaro. Molto più di quello corrispondente al valore dell'argento. Poi l'elfo fa un cenno a Rune, e i due escono dalla casa.
Isabel sente un groppo in gola, mentre osserva Inocencia, e s'interroga. Costoro non hanno nulla, non sanno nulla. Eppure, da costoro c'è molto da imparare...